Sì al reddito di base incondizionato

0

Arbedo-Castione
Discorso pronunciato in occasione della Festa del Lavoro, 1° maggio 2012

Oggi si celebra il diritto al lavoro in tutto il Ticino ma purtroppo non in tutta la Svizzera (nel Canton Berna, per esempio, è un giorno lavorativo come tutti gli altri) e purtroppo non in tutte le parti del mondo (in tanti Paesi con regimi autoritari i diritti dei lavoratori non vengono rispettati e la rivendicazione di festeggiare il 1° maggio viene vista come una minaccia dal potete costituito). Oggi si celebra quindi il diritto al lavoro, eppure ci siamo riuniti qui perché ci è stato concesso, grazie alle lotte delle generazioni che ci hanno preceduto, di non lavorare, di trascorrere una giornata di riposo e di festa. Questo apparente paradosso si spiega col fatto che non esiste solo il diritto al lavoro, ma esiste anche un diritto di non lavorare: durante circa 17 ore al giorno, durante i giorni festivi, durante i weekend e in particolare la domenica, durante le vacanze.

Ma è facile, dirà qualcuno, fare dei bei discorsi sul diritto di non lavorare partendo dal presupposto, sbagliato, che ognuno di noi un lavoro ce l’ha. Chi è in disoccupazione, oppure chi è in assistenza perché non può più beneficiare dell’assicurazione disoccupazione, se ne frega del diritto al non-lavoro. Lui o lei rivendica invece un diritto al lavoro e a un salario, il diritto alla speranza e a una prospettiva di vita.

Eppure, io voglio qui e quest’oggi celebrare e difendere proprio il diritto di non lavorare. Non solo nei giorni di festa, non solo durante le vacanze, non solo la domenica, ma per tutta la vita, se uno lo desidera. Il diritto di trascorrere, al limite, ogni giornata, tempo permettendo, su un’amaca, nel proprio giardino o in un giardino pubblico. Lo voglio difendere, questo diritto al non-lavoro, perché mi sembra che nella società contemporanea e in quella futura, proprio questo diritto è l’espressione migliore dei valori di libertà e di uguaglianza. Esso non si oppone, e tanto meno elimina, il diritto al lavoro, ma lo completa, anzi, contribuisce ad attuarlo nel contesto socioeconomico attuale.

Ma per poter approfittare di questo diritto al non-lavoro una persona, ogni persona, deve poter avere i mezzi finanziari minimi e necessari per condurre un’esistenza degna. Ecco perché la difesa del diritto al non-lavoro passa attraverso l’introduzione di un reddito di base incondizionato.

Ne avete sicuramente già sentito parlare. Nelle scorse settimane un gruppo apartitico ha lanciato l’iniziativa popolare federale denominata “Per un reddito di base incondizionato” (www.incodinzionato.ch). I promotori hanno un anno e mezzo di tempo, fino all’ottobre 2013, per raccogliere le 100’000 firme necessarie. Quest’iniziativa propone di ancorare nella Costituzione federale il principio di un reddito di base. Esso dovrà “consentire a tutta la popolazione di condurre un’esistenza dignitosa e di partecipare alla vita pubblica”. Se il Popolo e i Cantoni accetteranno quest’iniziativa, la sua realizzazione dovrà essere regolata in un’apposita legge, specialmente per quanto riguarda il suo finanziamento e l’importo concreto. Per lanciare il dibattito i promotori dell’iniziativa hanno però già suggerito che, considerando i prezzi e gli standard svizzeri, il reddito di base dovrebbe essere attorno ai 2500 franchi mensili.

Sarebbe un reddito di base “incondizionato”, proprio perché la sua caratteristica principale è che ogni abitante della Svizzera – con o senza la cittadinanza, ricco o povero, giovane o anziano, con o senza famiglia, ticinese o svizzero-tedesco – avrebbe il diritto di beneficiarne. L’unica limitazione concerne i minorenni – per i quali è previsto un importo del 25%, ossia 625 franchi – e gli stranieri che vivono in Svizzera da meno di 10 anni.

Vorrei adesso spendere qualche parola per spiegare meglio perché l’introduzione del reddito di base sarebbe un grande passo in avanti per tutta una serie di persone e di settori, a cominciare dai disoccupati, dalle persone in assistenza, dal volontariato, dalle donne e dall’ecologia.

Nella nostra società il lavoro è visto non solo come una fonte di reddito, ma è anche un indicatore dello status sociale. Certo, pochi credono nell’etica calvinista secondo cui solo chi lavora finisce nel paradiso. Ma qualcosa di questo pensiero è rimasto. Chi è senza lavoro viene spesso stigmatizzato, considerato come “fallito”. Inoltre, sento tante storie negative da chi ha avuto a che fare con certi uffici di collocamento, perché ritiene che non sia stato trattato con dovuta dignità e che il suo caso non sia stato gestito con professionalità. Le persone disoccupate sono quindi sotto pressione; pressione esercitata dai loro familiari, da amici e conoscenti, dai funzionari degli uffici di collocamento, dai datori di lavoro che cercano di approfittare della loro situazione offrendo salari chiaramente sottopagati. Non di rado il risultato di queste pressioni sono i problemi di salute, la depressione, la mancanza di stima in sé. I relativi costi si ripercuotono poi su tutta la collettività, per esempio sui costi di salute e quindi sui premi delle casse malati.

Un reddito di base permetterebbe di risolvere questi problemi, perché garantirebbe a tutti un reddito di base minimo.

Quanto ho detto dei disoccupati riguarda anche coloro che sono o potrebbero essere in assistenza. In questo ambito il problema è ancora più acuto. Secondo alcune stime decine di migliaia di persone, in Svizzera, avrebbero il diritto all’assistenza sociale – per esempio perché non hanno più diritto alle indennità di disoccupazione – ma non la richiedono. Per una questione di dignità. Oppure perché hanno paura di quelle stesse stigmatizzazioni di cui parlavo prima, hanno paura di essere per sempre viste come assistite dello Stato e che in futuro non riusciranno mai a trovare un lavoro. Ecco, per tutte queste persone il reddito di base sarebbe la vera liberazione. Sapere che non è l’elemosina dello Stato, bensì un diritto di cui possono beneficare tutti, restituirebbe a queste persone quella dignità che gli spetta in quanto esseri umani.

Un altro vantaggio del reddito di base è che esso sarebbe una giusta compensazione indiretta per tutte quelle attività che sono vitali, addirittura indispensabili, per la nostra società ma che oggi non vengono retribuite. Penso al volontariato. Penso alle attività domestiche, alla cura dei figli. Sappiamo inoltre che per tutta una serie di motivi sono soprattutto le donne che svolgono questi lavori non pagati. Ecco quindi che il reddito di base sarebbe anche un passo in avanti per l’emancipazione femminile, per la vera uguaglianza fra uomo e donna.

Infine, il reddito di base universale è un contributo all’ambiente. In effetti, il movimento ecologista è critico sulla concetto di crescita, questo grande paradigma della società odierna, quasi un tabù, che ha conseguenze devastanti per l’ambiente, per la natura, per il clima, per il nostro pianeta Terra. La crescita viene spesso chiamata in causa da chi pretende che esso sia la risposta al problema della disoccupazione e della povertà. “Più crescita economica e più consumi, e ci sarà lavoro per tutti”, ci dicono. Ecco quindi che il reddito di base universale, proprio perché dissocia in modo fondamentale il reddito dal contributo produttivo, può essere inteso come un freno alla crescita, come un incentivo alla decrescita. Esso permette infatti di evitare che l’aumento costante della produttività si traduca in una bolla di consumo eccessivo, mentre al tempo stesso esso evita la creazione di una massiccia disoccupazione non voluta, perché diventa uno strumento morbido di ripartizione del lavoro disponibile.

Mi avvio verso la conclusione ma prima vorrei brevemente rispondere ad alcune possibili e comprensibili perplessità che potreste avere. È chiaro: io sono un uomo di sinistra, e più precisamente della sinistra ambientalista, e sono fiero di esserlo. Ma il bello del reddito di base è che esso è promosso da persone con diversi orizzonti politici e ideologici, di sinistra ma anche di destra. Al tempo stesso esso è criticato sia da una certa destra, che vi vede uno strumento del socialismo, ma anche da una certa sinistra che preferisce mantenere l’attuale impostazione dello stato sociale. Ma vediamo alcune di queste critiche.

C’è chi dice “costa troppo, non ce lo possiamo permettere”. In effetti, di primo acchito i costi sarebbero enormi: 200 miliardi di franchi all’anno. In realtà, sempre secondo i promotori, i costi effettivi sarebbero ben minori, ossia soltanto 2 miliardi di franchi (tanto per fare un paragone è la metà di quanto ci costa, ogni anno, l’esercito), perché per la maggior parte si tratterebbe di ripartire diversamente delle risorse oggi impiegate altrove. Ciò si spiega col fatto che il reddito di base completa ma non verrebbe ad aggiungersi ad altre prestazioni sociali esistenti. Se c’è il reddito di base, non ci sarebbe più bisogno dell’assistenza sociale, visto che i relativi importi, attorno ai 1000 franchi al mese, sono ben inferiori. Inoltre, esso non verrebbe ad aggiungersi ai redditi che sono oggi superiori a 2500 franchi, oppure ai 4000 franchi se verrà accolta, come mi auguro, un’altra iniziativa popolare, quella sul salario minimo. Per esempio, chi oggi guadagna 6500 franchi al mese, pagati dal datore di lavoro, in futuro continuerebbe a ricevere la stessa cifra, di cui 2500 come reddito di base pagato dalla Confederazione e 4000 pagati dal datore di lavoro. In parole povere, il reddito di base migliorerebbe la situazione finanziaria solo di coloro che oggi ricevono meno di 2500 franchi al mese.

Ma allora, mi direte, se io già oggi guadagno 6500 franchi al mese e li guadagnerò anche in futuro con il reddito di base, chi me lo fa fare, di sostenere quest’iniziativa? Tanto io non ci guadagnerò niente.

Questa critica mi fa venire in mente un episodio al quale ho assistito nello scorso autunno a Lugano, quando con gli amici dell’Associazione Traffico e Ambiente stavo raccogliendo le firme per un’iniziativa popolare comunale per le piste ciclabili. Ad un certo punto passa una signora, assai distinta, di una certa età. La fermiamo e le diciamo: “Sciura, bun dì, ci mette una firma per le piste ciclabili?”. E lei ci pensa un attimo e poi risponde, un po’ perplessa: “No, grazie… ‘a sum tropp vegia par na ‘n bicicleta”.

Per concludere: finché ragioneremo solo in termini dell’interesse personale che possiamo trarre da una riforma, da un cambiamento, non permetteremo mai alla società di progredire, di andare avanti. Invece del progresso, avremo il conservatorismo. Il reddito di base universale sarebbe un grande passo in avanti per migliorare le condizioni non solo sociali ed economiche, ma anche psicologiche, di tutte quelle persone che vivono in povertà, nella precarietà. Certo, sarebbe una riforma enorme, perché presuppone un’impostazione radicalmente diversa delle nostre istituzioni sociali, nonché delle nostre abitudini mentali. Infine, il reddito di base non eliminerebbe il lavoro, perché gli incentivi che spingono una persona a lavorare non sono soltanto i soldi. Ma renderebbe il lavoro più equo, più giusto, più solidale.

Vi ringrazio dell’attenzione e vi auguro di trascorrere, nonostante la pioggia, un bel pomeriggio e una bella serata di 1° maggio, la Festa del Lavoro.

Comments are closed.