La giustizia indipendente?

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il Caffè, 11 settembre 2020

Nenad Stojanović *

Nei suoi rapporti annuali, il GRECO – il Gruppo di stati contro la corruzione, un organo del Consiglio d’Europa (di cui la Svizzera fa parte) – ha a più riprese criticato il modo con cui in Svizzera si eleggono i giudici federali (ma nei cantoni la situazione non è migliore). Si teme infatti che la loro indipendenza non sia garantita.

Il principale problema è che i giudici sono eletti dal Parlamento e che devono essere riconfermati ogni sei anni. A partire da questi due elementi si è sviluppata la prassi che vede i quattro partiti di governo Udc-Ps-Plr-Ppd (con occasionali briciole lasciate ai Verdi e al Partito borghese democratico) spartirsi la torta fatta da 38 giudici del Tribunale federale di Losanna, nonché da diversi altri giudici e giudici supplenti che lavorano nei tribunali federali situati a Bellinzona, Lucerna e San Gallo. Ciò di fatto impedisce l’elezione di qualsiasi candidato o candidata indipendente (o appartenente a un partito minore). L’elezione dell’ultimo giudice indipendente, Paul Logoz, risale infatti al… 1942.

Ancora più preoccupante è il fatto che i candidati potenziali devono impegnarsi a pagare al partito una quota del proprio salario. Le cifre variano da un partito all’altro ma in alcuni casi raggiugono 20’000 franchi all’anno. È una prassi non vietata dalla costituzione o dalla legge, ma non è nemmeno esplicitamente contemplata. È semplicemente… tollerata. E in un mondo normale sarebbe semplicemente … scandalosa. 

Tante cittadine e cittadini lo ignorano ma sono scioccati quando vengono a saperlo. Il mondo politico, d’altronde, si guarda bene dal dirlo ad alta voce. Alla recente conferenza stampa la consigliera federale Karin Keller-Sutter – spiegando perché il governo si oppone all’iniziativa popolare sulla giustizia che chiede che i giudici siano sorteggiati fra tutti i candidati giudicati idonei e che rimangono in carica fino ai 69/70 anni – il problema della compravendita di cariche nei tribunali federali non è stato menzionato neanche al margine. Nessun giornalista presente in sala ha posto domande su questo tema. “Tout va bien, madame la marquise”, viene da aggiungere.

Vista dall’estero, la situazione ha dell’incredibile. L’influente Frankfurter Allgemeine Zeitung ha pubblicato di recente (7.8.2020) un articolo in prima e terza pagina in cui questa prassi elvetica viene definita degna “di una repubblica delle banane”.

Finora il mondo politico ha sempre risposto a queste critiche più o meno così: “d’accordo, non è una prassi elegante, e in un altro paese sarebbe un grande problema di corruzione, ma qui siamo in Svizzera, le istituzioni politiche così come i tribunali godono di un alto grado di fiducia presso la popolazione, e i giudici lavorano in modo assolutamente indipendente”.

Ebbene, ora sappiamo che queste sono semplicemente bugie. Bugie gravi. Lo dobbiamo all’Udc che è finalmente uscita allo scoperto raccomandando al Parlamento di non rieleggere il giudice Yves Donzallas, eletto per la prima volta nel 2008 in quota Udc. Il motivo è che in un paio di sue decisioni il giudice Donzallas non ha seguito la linea politica del partito. Ma ancora più interessante – e preoccupante – e ciò che questo giudice ha dichiarato ai media martedì scorso, il giorno della sfiducia incassata dall’Udc (vedi Nzz, 9.9.2020). Ha ammesso che finora ha sempre taciuto, ma che negli scorsi anni ha ricevuto telefonate da parlamentari Udc, e che in “certe riunioni di partito dietro le porte chiuse i giudici sono messi sotto pressione”. In quelle riunioni si discuteva anche di casi giudiziari concreti (non sappiamo se già conclusi o pendenti). Inoltre, i vertici dell’Udc – l’allora presidente Albert Rösti, il capogruppo Thomas Aeschi e l’immancabile Christoph Blocher – lo hanno invitato una volta a un colloquio, “per discutere del modo più ottimale per attuare i principi dell’Udc nella giurisprudenza del Tribunale”. Dice però che non ha risposto all’invito. 

Non sappiamo se e in che misura anche altri partiti esercitino pressione sui “propri” giudici. Forse non tutti lo fanno. E forse non devono nemmeno farlo in modo esplicito, è sufficiente che ogni giudice sappia che deve fare attenzione a quello che fa perché non si sa mai se fra sei anni perderà il lavoro. È risaputo che l’autocensura è spesso peggio della censura vera e propria. D’altronde, il fatto che tutti versino al proprio partito la somma concordata – a parte, sembra, alcuni che negli ultimi anni della carriera, ormai vicini alla pensione, possono permettersi di non pagare – è la migliore dimostrazione che la pressione è presente. E che funziona.

* politologo all’Università di Ginevra e membro del comitato dell’iniziativa sulla giustizia

Leggi anche: Vandamme, Pierre-Etienne & Donald Bello Hut. 2020. Selecting constitutional judges randomly. Swiss Political Science Review. (Online first.)

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