ilMancino, 26.2.2018. link
Nenad Stojanović *
Niente suspense: No a NoBillag. Ma…
Per non tenere in suspense le mie quattro lettrici dichiaro sin da subito che il 4 marzo voto e invito a votare “no” all’iniziativa popolare “No Billag”. Condivido le motivazioni del Partito socialista e di altre forze politiche e della società civile contrarie all’iniziativa. Un suo eventuale successo – premesso ma non concesso che il Parlamento voglia attuarla – minaccerebbe l’esistenza della radiotelevisione pubblica SSR SRG, o almeno di alcune sue componenti, nonché di tante emittenti private.
Il denominatore comune di tutte le motivazioni contro “No Billag” è il seguente: la SSR è un’infrastruttura importante per la Svizzera. Importante per la coesione nazionale, per le minoranze linguistiche, per la pluralità dell’informazione, per il buon funzionamento della nostra democrazia. Uno dei manifesti contro “No Billag” la dipinge come una dinamite che avvolge e minaccia di far esplodere un pilastro delle nostre istituzioni.
Anch’io credo che sia così, anche se a onor del vero il discorso andrebbe allargato a tutti i media, inclusa la stampa e i portali di notizie online, un settore nel quale negli ultimi anni si nota una preoccupante emergenza di monopoli mediatici e la scomparsa dei media regionali indipendenti.
Ma se è davvero così, se la SSR è un’infrastruttura fondamentale per il Paese, allora vi è un aspetto poco logico nel sistema attuale: l’importo riscosso dalla società Billag è una tassa uguale per tutte le economie domestiche, ricche o povere che siano: 451 franchi all’anno (365 franchi a partire dal 2019). Ne sono esenti solo i pensionati che beneficiano delle prestazioni complementari. Credo invece che sarebbe più giusto che la Billag sia proporzionale alle capacità finanziaria delle persone.
Un’infrastruttura pubblica di importanza nazionale (come le strade, le ferrovie, i politecnici federali ecc.) è infatti sempre finanziata – completamente o in buona parte – tramite le imposte che sono proporzionali al reddito e in particolare tramite l’imposta federale diretta. Ciò significa, concretamente, che le fasce più povere e medio-basse della popolazione non pagano niente, quelle medio-alte pagano qualcosa di più mentre la maggior parte degli introiti proviene dai contribuenti molto benestanti, senza dimenticare le imprese. In effetti, oltre un milione di persone e quasi il 50% delle famiglie non paga l’imposta federale diretta.
È sorprendente che questo tema sia stato pressoché ignorato nei dibattiti sull’iniziativa No Billag. Per esempio, il 6 febbraio un teleascoltatore ha posto la relativa domanda nella trasmissione “Piazza del Correire” di TeleTicino (da 1:01:45). Il presidente della CORSI, Luigi Pedrazzini (PPD), l’ha liquidata con poche battute, dicendo: “Penso che non sia stato un tema e che non debba nemmeno diventarlo”. Matteo Pelli, direttore di TeleTicino e Radio 3i, due emittenti che beneficiano degli introiti della Billag, non ha reagito. Insomma, non hanno nemmeno voluto discuterne.
Ma quello che mi sorprende è soprattutto che la sinistra non faccia sua questa rivendicazione e che nemmeno cerchi di tematizzarla. Basti pensare che la lotta contro i premi delle casse malati non proporzionali al reddito è da diversi anni una delle richieste politiche più importanti della sinistra. Perché, nel dibattito in vista del 4 marzo, la sinistra tace sul carattere non-sociale della Billag? (Un’eccezione è una risoluzione della Gioventù Socialista svizzera del 6 maggio 2017 in cui si chiede “una tassa Billag solidale e proporzionale al reddito, oppure un finanziamento della SSR tramite le imposte”. Un’altra volta c’è da dire: per fortuna che abbiamo la GiSo!). In quello che segue cercherò di presentare alcune possibili ragioni di questo silenzio, spiegando anche perché a mio avviso non sono convincenti.
1. “Non si vota su questo”
È vero. Votando su “No Billag” non ci esprimiamo su un’eventuale tassa proporzionale al reddito. Ma ciò vuol dire che non è permesso parlarne? D’altronde, a dire il vero, la votazione non è nemmeno su “sì o no alla SSR”, eppure i contrari, soprattutto nella Svizzera italiana, fanno di tutto per far capire alla popolazione che è di questo che si tratta. Un “sì” significherebbe la fine della SSR, la perdita dei posti di lavoro (soprattutto nella Svizzera italiana), ecc. Anche se dubito fortemente che così sarà – perché ritengo che il Parlamento non applicherebbe mai “No Billag” se ciò mettesse a rischio le strutture della SSR, così come negli ultimi 25 anni non ha applicato alla lettera tante altre iniziative accettate dal Popolo (dall’Iniziativa delle Alpi ai bonus dei manager, dalle residenze secondarie all’immigrazione dall’UE) – concordo che come minimo un rischio esiste.
Ma esiste anche il rischio che, una volta respinta la “No Billag”, il voto del Popolo sia interpretato, soprattutto dalla destra, come un’approvazione del carattere non-sociale della tassa attuale. Per la sinistra diventerà così quasi impossibile reclamare una riforma sociale del canone. Visto che tanti esponenti degli ambienti di destra (da Sergio Ermotti dell’UBS alla Neue Zürcher Zeitung, dal presidente del PPD svizzero a diversi parlamentari del PLR) dicono “no, ma…” a “No Billag”, criticando in particolare l’attuale impostazione della SSR, mi chiedo cosa costi alla sinistra dire “votiamo no, ma non siamo d’accordo che la tassa debba essere uguale per tutti”? Faccio davvero fatica a capirlo.
2. “La SSR non sarebbe più indipendente”
Se la SSR e le radio/televisioni private venissero co-finanziate tramite le imposte, ciò vorrebbe dire che il loro budget sarà deciso dal Parlamento, mettendo quindi a rischio la loro indipendenza? Per esempio, se alcune trasmissioni vengono giudicate troppo di sinistra, la destra parlamentare potrebbe cercare di vendicarsi tagliando il budget della SSR. Una cosa analoga è successa nel 2004 quando il Parlamento ha tagliato un milione di franchi a Pro Helvetia perché aveva co-finanziato un’esposizione parigina dell’artista svizzero Thomas Hirschhorn in cui si prendeva in giro un certo Christoph Blocher.
Ma esistono meccanismi per non permettere che ciò accada. Per esempio, il finanziamento delle strade nazionali – un’altra infrastruttura importante per il Paese – è garantito indipendentemente dalla volontà del Parlamento. Un meccanismo analogo si potrebbe introdurre per la SSR, come d’altronde accade già altrove, per esempio in Finlandia, dove la radiotelevisione pubblica è finanziata tramite un’imposta dipendente dal reddito. Gli introiti finiscono in un fondo speciale che il Parlamento non può toccare.
3. “Il santo non vale la candela”
Un altro argomento di ordine tecnico, sottolineato in particolare dall’ex direttore generale della SSR SRG Roger De Weck, è che un finanziamento tramite le imposte sarebbe meno efficiente rispetto al sistema attuale. Sembra infatti che in tal caso i Cantoni prenderebbero il 17%, mentre attualmente la Billag riceve solo il 4% per i suoi servizi. In altre parole, i costi sarebbero più elevati.
È possibile che sia così ma non è un argomento forte per opporsi a un sistema di finanziamento basato sul reddito. In effetti, da un punto di vista dell’equità sociale i maggiori costì sarebbero sopportati soprattutto dai contribuenti benestanti e non dalle fasce più povere della popolazione. Inoltre, il 17% verrebbe versato agli enti pubblici, quindi alla collettività, mentre la Billag è una società privata.
4. “Non portiamo acqua al mulino degli altri”
Mi si risponderà che avrò anche ragione ma che dobbiamo esprimere un “no secco” (invece di un “no, ma….”) esclusivamente per motivi di ordine tattico: anche se l’attuale sistema non è sociale, è rischioso inserire nel dibattito pubblico argomenti di per sé giustificati ma che rischiano di rendere servizio alla campagna dei favorevoli a “No Billag”.
Non sono sordo alle argomentazioni tattiche che sono spesso indispensabili nell’azione politica. Tuttavia, diversi sondaggi usciti nelle scorse settimane segnalano che la “No Billag” verrà bocciata da circa due terzi dei votanti. Pur tenendo conto del margine di errore e di altri problemi legati all’attendibilità dei sondaggi, si tratta di una percentuale sufficientemente alta per escludere che la “No Billag” possa ottenere la maggioranza, senza dimenticare che occorre anche la maggioranza dei Cantoni. Quindi adesso è il momento per dire qualcosa di sinistra su questo tema.
J’accuse…
Lo ammetto. Ho scritto quest’opinione anche perché mi ha dato fastidio vedere e sentire e leggere persone di sinistra dire: “votate no, in fondo vi costa solo un franco al giorno”. Nella stragrande maggioranza dei casi – correggetemi se sbaglio – questi inviti provenivano da persone la cui economia domestica conta entrate mensili di almeno 18 mila franchi al mese, oppure da studentesse e studenti che non pagano la Billag. Ma il reddito medio disponibile delle economie domestiche svizzere è di circa 7mila franchi. In Ticino è molto più basso: circa 6mila franchi. In tante economie domestiche lavora solo una persona. Mettetevi nei panni di qualcuno che guadagna 3500 franchi, che ha figli da sostenere, e che fa davvero fatica ad arrivare alla fine del mese. Ebbene, per questa persona ricevere ogni una fattura di 451 franchi non è poca cosa. Se noi della sinistra non pensiamo a queste persone, chi lo farà?
Inoltre, la difesa ad oltranza di una tassa non-sociale – oltre a creare, almeno per la sinistra, un problema di coerenza politica – rischia di trasformarsi in un autogoal. Accettando e difendendo la riduzione della tassa da 451 a 360 franchi, annunciata dalla Doris Leuthard (PPD), il che comporterà meno introiti e quindi tagli nella SSR, la sinistra non avrà più la forza morale per opporsi a una futura, prevedibilissima, riduzione dell’offerta radiotelevisiva e la relativa perdita dei posti di lavoro.
Una riduzione della tassa di 90 franchi all’anno non aiuta un granché chi guadagna 3500 franchi al mese. Per i ricchi è invece soltanto un regalo. Regalo di cui non hanno bisogno. Invece di accettare la riduzione lineare della tassa, la posizione della sinistra poteva essere: vogliamo abolire la tassa per i poveri e aumentarla per i benestanti.
* Già deputato PS in Gran Consiglio e membro-socio della Società cooperativa per la Radiotelevisione svizzera di lingua italiana (CORSI)