Trasparenza

0

Il Caffè, 24 novembre 2013, p. 37. PDF

Nenad Stojanovic

La Svizzera è una delle democrazie più sviluppate e più invidiate al mondo. Ma su un aspetto del modello svizzero c’è poco da andare fieri: la trasparenza. Trasparenza significa che il sovrano – ossia i cittadini-elettori – devono poter sapere dove vengono spesi i soldi pubblici (ossia i loro soldi), come ciò avviene (ossia quali sono le regole e le norme nel processo decisionale) e chi, in questo processo, difende quali interessi.

A livello federale la trasparenza è stata assente fino a qualche anno fa e lo è in parte tuttora. Oggi i parlamentari federali devono dichiarare le loro “relazioni d’interesse” (se fanno parte di consigli d’amministrazione delle imprese, di comitati di associazioni, fondazioni ) e questo elenco è pubblicato sul sito web del parlamento. Ogni parlamentare ha il diritto di donare accesso a Palazzo federale a due persone e l’elenco di questi visitatori, con l’aggiunta della loro affiliazione professionale, è pubblico. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di lobbisti. Questa trasparenza è un fatto recente, ma è senz’altro un passo nella giusta direzione. Tanto però rimane ancora da fare. Il problema maggiore è la totale mancanza di trasparenza nel finanziamento dei partiti e delle campagne, in occasione di elezioni e votazioni popolari. Non sappiamo chi finanzia chi, perché e come. E non sono briciole: si parla di diverse decine di milioni di franchi nell’arco di una legislatura. È ancora in ballo l’idea di un’iniziativa popolare – caldeggiata sia da esponenti dell’Udc che dalla sinistra – per rendere più trasparente il finanziamento dei partiti. Non a caso proprio su questo problema il Consiglio d’Europa in un rapporto del 21 novembre ha criticato la Svizzera.

Il Ticino, paradossalmente, è insieme a Ginevra e Neuchâtel l’unico cantone che da circa dieci anni ha una legge che in teoria obbliga i partiti e i movimenti politici a comunicare annualmente alla Cancelleria dello Stato “l’ammontare dei finanziamenti che eccedono la somma di fr. 10’000 annua e l’identità dei donatori”. In teoria. In pratica ciò non è quasi mai accaduto, nonostante il governo abbia le prove che alcuni partiti hanno ricevuto ma non dichiarato somme ben più alte.

Il municipio di Lugano, per esempio, ha ammesso che la Lega dei Ticinesi nell’arco di un solo anno ha ricevuto 116’000 franchi dalle Aziende Industriali di Lugano, all’epoca in cui il presidente a vita della Lega era pure membro del CdA di tale azienda, ma questi soldi non sono mai stati dichiarati all’autorità cantonale competente. Inoltre, il governo e la Cancelleria dello Stato si ostinano a non rispondere a diversi atti parlamentari che chiedono le ragioni di questo mancato rispetto della legge. L’elenco dei cosiddetti “mandati diretti”, ossia quando il Consiglio di Stato dà lavoro a ditte o privati senza passare da un concorso aperto a tutti e senza chiedere l’autorizzazione al Gran Consiglio, è stato reso pubblico solo qualche mese fa e solo dopo forti pressioni mediatiche (più che politiche). Vi è pochissima trasparenza anche per l’attività delle numerose lobby attive a livello cantonale. I deputati in Gran Consiglio devono dichiarare le loro relazioni d’interesse, ma non sappiamo bene chi sono i lobbysti che sono in contatto con i consiglieri di Stato per ottenere decisioni auspicate. E quando veniamo a saperlo, è solo per caso. L’incontro del gerente del bordello “Lumino’s” col compianto ministro Barra, oppure i continui solleciti del direttore di Infovel in favore di un credito di 30 milioni per sovvenzionare l’acquisto di certe automobili, sono solo alcuni esempi recenti che rappresentano probabilmente solo la punta dell’iceberg. Direte che le lobby ci sono sempre state ed è impossibile rendere più trasparente la loro attività. Non è vero: si potrebbe benissimo prevedere un sistema in cui gli incontri fra i consiglieri di Stato e i rappresentanti dei vari gruppi di interesse (anche solo di chi rappresenta i propri interessi) siano resi pubblici alla fine di ogni mese. È una regola che ha introdotto, per esempio, Barack Obama: ognuno può sapere chi ha visitato la Casa Bianca.

Se poi un ministro aggira la regola incontrando lobbisti in qualche loggia o bettola oscura, al di fuori degli uffici dello Stato e degli orari di lavoro, lo farà a suo rischio perché prima o poi ciò verrà alla luce del giorno. Con questo non voglio dire che le lobby non hanno niente da cercare in una democrazia: anzi, penso che svolgano un ruolo importante perché permettono ai politici di decidere conoscendo meglio i vari interessi in gioco. Il problema è che quando solo alcune lobby hanno accesso alle stanze del potere e, per l’appunto, quando la loro attività non è trasparente.

Anche nei Comuni le resistenze dei municipi alle richieste per più trasparenza sono numerose. Una mozione interpartitica presentata a Lugano nel 2006 che chiedeva la pubblicazione dei verbali del legislativo e la pubblicazione dei voti dei singoli consiglieri comunali, è stata accolta dal Consiglio comunale. Il municipio però, nonostante i solleciti, non l’ha mai attuata. A Locarno, la mancanza di trasparenza del municipio su appalti e mandati è valsa una visita della Procura. Si tratta però di resistenze che non avranno vita lunga: il cittadino-elettore, vuole e chiede sempre più trasparenza. C’è chi lo vede come pura curiosità, senza che ci sia un vero interesse pubblico. Credo che si tratti, invece, di reazioni sane e giustificate che vanno a rinforzare la qualità della nostra democrazia.

Comments are closed.