I conservatori di sinistra (Perchè la sinistra sindacale si oppone al reddito di base incondizionato?)

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laRegione, 13 maggio 2016, p. 30. PDF

Nenad Stojanovic, Università di Princeton

I tempi cambiano ma la retorica conservatrice, usata da chi combatte riforme che hanno come scopo di far progredire la società, è sempre la stessa. Secondo uno studio dell’economista Albert Hirschman (Retoriche dell’intransigenza, Il Mulino, 1991), in ogni epoca le proposte progressiste sono state osteggiate usando sempre gli stessi argomenti conservatori. In queste settimane tali argomenti sono utilizzati da chi combatte l’iniziativa popolare “per un reddito di base incondizionato” (Rbi). Uno degli obiettivi dell’iniziativa è di permettere a ciascuno “di partecipare alla vita pubblica”. Ma Corrado Pardini, consigliere nazionale socialista e dirigente del sindacato Unia, scrive sul mensile ‘Confronti’ (n. 86), usando l’argomento detto “del boomerang”, che l’Rbi porterà all’esclusione.

Un altro argomento è che in realtà non cambierà nulla: i poveri rimarranno poveri. Sempre Pardini scrive che un’Rbi di 2’500 franchi “è molto al di sotto dei 4’000 franchi che noi sindacalisti rivendichiamo per una vita dignitosa”. Ovviamente, è un argomento fuorviante: l’Rbi sarebbe garantito anche a chi non lavora e non va confuso con i 4’000 franchi per chi lavora al 100 per cento. Infine, il terzo ragionamento (“l’argomento dello sfacelo”) afferma che l’Rbi distruggerà lo Stato sociale perché in parlamento la maggioranza di destra spingerà il relativo ammontare verso il basso. È l’atteggiamento di chi capitola prima della battaglia, dimenticando che le decisioni del parlamento sottostanno al referendum facoltativo. E la sinistra è stata spesso in grado di vincere referendum contro le decisioni socialmente ingiuste prese dalla maggioranza parlamentare (vedi riforme dell’Avs, regali fiscali ecc.).

L’Rbi ha spaccato il Partito socialista. Nel parlamento federale, un terzo dei socialisti lo ha appoggiato, un terzo si è opposto e il terzo rimanente si è astenuto. Il Ps svizzero raccomanda di votare “no”, mentre la sezione ticinese invita a votare “sì”.

Perché la sinistra fatica ad accettare una proposta che permetterebbe di sradicare la povertà e di rivoluzionare in positivo lo Stato sociale?

Secondo Philippe Van Parijs, professore di etica a Lovanio e principale teorico dell’Rbi, il problema è che la sinistra laburista, quella legata ai sindacati, non vuole rivedere la propria ideologia basata sul “diritto al lavoro” e non accetta l’idea di un “diritto al reddito”. In realtà, l’Rbi non minaccia il lavoro, bensì crea incentivi per condividerlo e maggiori opportunità per i disoccupati, riduce i problemi di burnout ecc. E soprattutto, rafforza la solidarietà evitando la stigmatizzazione – non degna della persona umana – che accompagna gli attuali schemi di assistenza sociale.

Il dibattito attorno all’Rbi mette anche in rilievo i rapporti fra il movimento sindacale e il Ps. Ha ragione Pietro Martinelli (‘Confronti’, n. 85) quando (in un altro contesto) afferma che i sindacati sollevano «dei problemi giusti dal punto di vista sindacale», ma talvolta le loro proposte «fanno a pugni con le idee e la strategia del Ps».

Manifestamente, oggigiorno parte dei sindacalisti preferisce seminare l’illusione della “piena occupazione”. Il prezzo di tale illusione sarà caro e lo pagheranno soprattutto i più poveri. Secondo l’economista Sergio Rossi, «di fronte all’incapacità o all’impossibilità di garantire la piena occupazione delle persone che vogliono o possono lavorare, un’Rbi rappresenta un’alternativa ragionevole per assicurare la coesione della società moderna» (‘Confronti’, n. 86).

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