il Caffè, 21.1.2018. PDF
Nenad Stojanović, politologo
Sanders contro Clinton. Corbyn contro gli eredi di Blair. Hamon e Mélenchon contro Valls e Macron. Schröder contro Lafontaine. Bersani contro Renzi. Franco Cavalli contro Ruedi Strahm. È interminabile l’elenco degli scontri in casa socialista e nella sinistra nel senso lato, recenti o datati che siano, all’estero e in Svizzera. Il denominatore comune è l’eterno dilemma fra idealismo e pragmatismo, fra intransigenza e compromesso, fra la difesa dei valori tipici della sinistra e la politica dei piccoli passi. Per dirla con Max Weber, da un lato vi è l’etica dei principi, dall’altro quella della responsabilità.
Facendo uno zoom sulla piccola realtà politica cantonticinese, scopriamo tensioni simili in seno al Partito socialista. Tensioni che sono ancora più inerenti al sistema politico di quanto lo fossero quelle nelle altre democrazie. In effetti, in Francia, Germania Italia e così di seguito, la sinistra è o al potere o all’opposizione. E almeno quando è all’opposizione può mostrare il suo viso più ideale, più anti-sistema, più di sinistra. Non così in Svizzera, dove i socialisti sono al governo, senza interruzione, dal 1959. In Ticino sin dal 1922. Questo fa sì che le tensioni fra l’ala “pura e dura” e quella filo-governativa sono strutturali e quindi costanti nella vita del Ps.
Ma nella maggior parte dei casi queste tensioni non arrivano alle orecchie dell’opinione pubblica, si consumano nelle lunghe riunioni interne. Di solito i dirigenti di un partito fanno di tutto per evitare che escano fuori, perché temono che “un partito spaccato” non faccia bella figura, che ne soffra la sua immagine e di riflesso anche il consenso elettorale.
Non è però sempre possibile tenerle sotto il tappeto, queste tensioni. E a quel punto un partito democratico deve permettere il confronto franco e aperto fra le posizioni contrastanti. È quanto sta vivendo in queste settimane il Ps cantonale. Motivo della discordia: la “riforma fiscale e sociale” proposta dal Governo e avallata, con alcune modifiche, dal Parlamento cantonale. Semplificando assai la questione, si tratta di decidere se accettare sgravi fiscali a favore dei ricchi e alle imprese, di circa 40 milioni, e allo stesso tempo rafforzare misure sociali, soprattutto per la custodia dei bambini, di circa 20 milioni all’anno.
La questione ha diviso il Ps in due campi. Da un lato i favorevoli, rappresentati dal consigliere di Stato Manuele Bertoli, da quasi tutto il gruppo parlamentare (ma non il capogruppo Ivo Durisch) e da alcuni esponenti socialisti negli esecutivi comunali. Dall’altro i contrari, a cominciare dal presidente Igor Righini e la quasi totalità della Direzione, la Gioventù socialista, Marina Carobbio, Franco Cavalli, Martino Rossi, e altri ancora. Il verdetto della Conferenza cantonale del 19 dicembre è stato netto: con 95 voti contro 39 la riforma fiscale è stata bocciata e quindi il Ps sostiene attivamente il referendum.
Non sono mancati i tentativi di conciliazione, la famosa “sintesi”, così cara ai socialisti francesi. Tre esponenti storici del Ps(a) – Anna Biscossa, Werner Carobbio e Pietro Martinelli – hanno proposto una risoluzione alternativa, dal contenuto in parte fumoso (è spesso l’essenza stessa della “sintesi”) ma il cui risultato verosimile sarebbe stato che il Ps avrebbe sostenuto passivamente il referendum. Il timore di vedere il partito spaccato è stato la loro motivazione principale e non a caso, nel suo intevento, Martinelli ha citato proprio Max Weber. Ma alla fine il tentativo è naufragato, in parte proprio perché non si sapeva bene quale sarebbe stato il suo impatto concreto sul sostegno del Ps al referendum.
Come sempre in queste occasioni, divergono le interpretazioni sulla portata politica ed elettorale di questa decisione. C’è chi pensa che costerà caro a livello di voti, mentre altri ritengono che un profilo più chiaro e meno filo-governativo non possa che giovare al Ps. All’orizzonte c’è l’appuntamento elettorale dell’aprile 2019. Sarà una prova non facile per il Ps. Se nel 2007 lo slogan era “fai uno più uno” – perché si sperava di conquistare il secondo seggio – ora sono in molti a credere che l’unico seggio socialista sia in pericolo come mai prima. Se dovesse perderlo, il Ps diventerebbe a tutti gli effetti un partito di opposizione. Magari gli farebbe bene, è difficile saperlo. Ma in un sistema consociativo come quello svizzero è un rischio che pochi socialisti, oggigiorno, vorrebbero correre.