il Caffè, 11.2.2018. PDF
Nenad Stojanović*
È risaputo che l’Unione europea non funziona ancora come una vera democrazia in cui il Parlamento dovrebbe svolgere un ruolo centrale. Il Parlamento europeo – nonostante un rafforzamento delle sue competenze in seguito all’entrata in vigore, nel 2009, del Trattato di Lisbona – è infatti ancora troppo debole rispetto al potere dei governi nazionali.
Un altro problema è che le elezioni all’Europarlamento si svolgono dentro i confini dei singoli Stati membri e che i partiti politici si presentano alle elezioni con temi nazionali e non tanto con temi europei. Non a caso sempre meno cittadine e cittadini europei votano nelle elezioni dell’Europarlamento. La partecipazione è scesa costantemente, dal 62% nel 1979 al 43% nel 2009. Nel 2014 l’arrivo degli “Spitzenkandidaten” per il posto di presidente della Commissione ha frenato un po’ il calo della partecipazione, assestandola al 43%.
Per affrontare questo “deficit democratico” dell’Ue – che non va esagerato, ma nemmeno sottovalutato – il Brexit potrebbe rappresentare una grande opportunità. Il Regno Unito dispone infatti di 73 seggi su 751 nel Parlamento europeo. Cosa farne? Appena eletto, il presidente francese Emmanuel Macron ha fatto sua un’idea che circolava già dalla metà degli anni Novanta negli ambienti accademici e fra i federalisti europei: per rafforzare la democrazia nell’Ue, parte dei seggi nell’Europarlamento vanno assegnati dentro un’unica grande circoscrizione europea. Ogni cittadino e ogni cittadina dell’Ue avrebbe quindi due voti: uno per le liste nazionali e uno per le liste transnazionali pan-europee. I partiti avrebbero un incentivo a formare liste transnazionali e a presentarsi agli elettori di tutta l’Unione con temi europei e non solo con temi nazionali. Nel passato quest’idea è sempre stata osteggiata dagli Stati membri perché nessuno voleva cedere il numero dei propri seggi. Altri invece non volevano aggrandire ulteriormente l’Europarlamento e il relativo apparato burocratico. Ma tutti questi ostacoli non si pongono più a partire dal momento che in seguito al Brexit nessun Paese dovrebbe rinunciare agli eurodeputati di cui dispone attualmente.
Mercoledì 7 febbraio lo stesso Parlamento europeo ha però bocciato la proposta di Macron. La maggioranza preferisce ridurre il numero totale dei seggi da 751 a 705. Dei 73 seggi britannici, 27 andrebbero ridistribuiti ai Paesi attualmente sottorappresentati, mentre i rimanenti 46 verrebbero messi in riserva per i futuri membri dell’Ue. (È sempre degli scorsi giorni la notizia che l’Ue intende accogliere alcuni Stati balcanici verso l’anno 2025.)
A mio avviso si tratta di un’occasione persa per rafforzare la democrazia nell’Ue. Enrico Letta, un altro sostenitore dell’idea ne parla nel suo libro Contro venti e maree. Idee sull’Europa e sull’Italia, uscito nel marzo 2017) – ha commentato su Twitter: “La democrazia europea è malata e le liste transnazionali sarebbero state un buon medicamento. Lo Spitzenkandidat è soltanto un’aspirina”.
La storia finisce qui? Non necessariamente. Il voto del Parlamento europeo non è vincolante. Alla fine decideranno i capi di Stato e di Governo dell’Ue. Perciò, Macron e gli altri europeisti non si danno ancora per vinti. Ma sarà dura: una riforma elettorale di questa portata richiede l’unanimità degli Stati membri. Un altro meccanismo decisionale poco democratico, a dire il vero.
* politologo all’Università di Lucerna