Asilo

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Il Caffè, 28 settembre 2014, p. 35. PDF

Leggi sempre più dure. Da vent’anni le norme che regolano l’arrivo dei profughi suscitano aspre polemiche. E sono in contrasto con la tradizione umanitaria della Svizzera.

Nenad Stojanović*

Il diritto all’asilo è stato costantemente inasprito negli ultimi vent’anni, tramite riforme legislative e votazioni popolari. Il ritornello è ogni volta lo stesso: bisogna rendere la Svizzera meno attrattiva. Si sa: in politica la memoria è corta. Raramente il cittadino si ricorda delle promesse fatte nel passato. Magari oggigiorno uno dovrebbe chiedersi: “Ma se tutte quelle riforme, con cui si voleva ‘risolvere il problema’, non hanno avuto successo, o persino hanno avuto l’effetto contrario, magari quella adottata non era la strada giusta”.

Solo un esempio. Nel 2006 tutte le grandi città svizzere – ad eccezione di Lugano -, indipendentemente dal colore politico dei municipali, hanno invitato i cittadini a respingere una riforma della legge sull’asilo, con cui si riduceva massicciamente l’aiuto ai richiedenti che hanno ricevuto la famosa Nem, la “non entrata in materia”. Le grandi città temevano che, in questo modo, i Nem non sarebbero scomparsi nel nulla, ma avrebbero cercato rifugio proprio nell’anonimato che le grandi città offrono. Preoccupazione che si è poi avverata. Lo aveva ben previsto l’allora municipale Plr della Città di Zurigo, Martin Vollenwyder, che in una conferenza stampa aveva dichiarato: “Le persone colpite dalla legge cercheranno l’anonimato nelle città. Se la Confederazione non si occuperà più dei cosiddetti casi di rigore lo dovranno fare i Comuni. Ciò provocherà costi supplementari non solo in ambito sociale, ma anche nella sicurezza”. Niente da fare. Il 24 settembre di quell’anno il 68% dei votanti ha detto sì all’inasprimento della legge. Questo ha permesso di “risolvere il problema”? C’è da dubitarne. Ma ha reso la vita più difficile a chi ha effettivamente bisogno. Detto altrimenti, fra propaganda e realtà c’è un divario enorme.

Un altro esempio. Nella scorsa estate è stata annunciata un’altra, ennesima, iniziativa popolare per inasprire ulteriormente il diritto all’asilo. Concretamente, si propone che i rifugiati che entrano in Svizzera in provenienza da un Paese terzo ritenuto sicuro siano automaticamente esclusi dalla procedura di asilo. In realtà, una soluzione simile, anche se meno estrema, esiste già oggi ed è ancorata nell’accordo di Dublino che la Svizzera ha sottoscritto. Accordo che prevede che ogni Stato firmatario può rinviare il richiedente l’asilo nello Stato in cui è stato per la prima volta registrato. È chiaro quindi che di questo accordo approfittano soprattutto quei paesi – come la Svizzera – che non hanno l’accesso al mare e che non sono situati ai confini dell’Unione europea. Espresso in cifre, dall’entrata in vigore dell’accordo di Dublino, nel 2008, la Svizzera ha rinviato 18.539 rifugiati. La maggior parte è tornata in Italia. Nello stesso periodo la Svizzera ha dovuto riprendere soltanto 2.988 rifugiati.

Quindi fa poco senso sostenere la tesi che l’accordo di Dublino non sia buono per la Svizzera. Semmai non è buono per i rifugiati. Le associazioni che difendono i loro diritti criticano infatti questa politica, perché in alcuni paesi europei situati al confine del continente, in particolare in Grecia, i rifugiati sono costretti a vivere in condizioni indegne, spesso in strada o nei parchi pubblici.

Ma la nuova iniziativa anti-asilo va ben oltre. Fosse accolta, vorrebbe dire che il diritto all’asilo sarebbe di fatto cancellato. Solo chi entra direttamente in Svizzera, per via aerea, potrebbe presentare richiesta. Tanto per rendere l’idea: su 28.361 domande d’asilo presentate nel 2013 solo 384, ossia 1,3%, riguardavano persone – soprattutto iracheni, siriani e cinesi – entrate in Svizzera attraverso uno dei grandi aeroporti.

Intanto, l’emergenza profughi è sempre più acuta, come lo dimostrano ripetuti naufragi nel Mediterraneo. Le cause sono molteplici, ma indubbiamente le guerre in Siria e in Irak hanno reso la situazione particolarmente difficile. Qual è stata l’accoglienza dei rifugiati provenienti da questi Paesi? Se ci focalizziamo sul conflitto in Siria, nel 2013 la Svizzera ha registrato 1.900 richieste d’asilo provenienti dai profughi siriani. Assai meno rispetto all’accoglienza riservata dalla Svezia (9,7 milioni di abitanti, 16.500 profughi) o dalla Bulgaria (7,3 milioni di abitanti, 4.510 profughi), per non parlare del Libano (4,8 milioni di abitanti, 1.2 milioni di profughi) o della Turchia (76,7 milioni di abitanti, 850.000 di profughi).

Una cosa è chiara. Non è attraverso l’ennesimo inasprimento di legge che si ridurrà il numero di profughi che cercheranno rifugio in Europa e in Svizzera. Semmai ciò renderà la loro vita ancora più dura. Questo è in contrasto con la tradizione umanitaria della Svizzera. Tradizione che è un fatto storico, ma che rischia di diventare un cliché che sentiremo ribadire spesso e volentieri nelle allocuzioni di politici benpensanti. E che corrisponde sempre meno alla realtà dei fatti.

*politologo

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