La festa dei cento anni del Ps in Consiglio di Stato rischia di naufragare nel vuoto

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il Caffè, 13 gennaio 2019, pp. 1 e 13. PDF

Nenad Stojanović

Sono anni di importanti centenari nella sinistra. In Svizzera si sono da poco concluse le commemorazioni per lo sciopero generale del novembre 1918, che fra le altre cose portò all’introduzione della settimana lavorativa di 48 ore. In Germania (e oltre), fra due giorni verrà ricordata Rosa Luxemburg, figura di spicco del socialismo rivoluzionario, assassinata a Berlino il 15 gennaio 1919. In Ticino, intanto, la sinistra (o almeno una parte di essa) si prepara a festeggiare il centenario della presenza ininterrotta dei socialisti nel Consiglio di Stato. Guglielmo Canevascini fu infatti eletto nel 1922, e ci rimase fino al 1959. Canevascini fu un abile tessitore di alleanze, sia con i conservatori (fino al 1935) sia con i liberali (dal 1947). “Ebbe uno spiccato senso pragmatico che lo portò a saper rinunciare allo scontro ideologico per le realizzazioni concrete”. Così lo descrive, nel Dizionario storico della Svizzera, il ricercatore Gabriele Rossi.

Il senso pragmatico di Canevascini, come quello dei suoi successori, non piacque però a tutti e fu una delle cause della spaccatura del 1969, con la creazione del Partito socialista autonomo (Psa). Ma a dire il vero nessuno, o quasi, nel Ps pensa oggi ai festeggiamenti. Il motivo è semplice: nel 2022 non ci sarà, forse, nulla da festeggiare. Nelle elezioni cantonali del prossimo aprile il Ps corre infatti il rischio di uscire dal governo. Basta che il Plr guadagni 1-2 punti percentuali rispetto al 2015 e che il Ps ne perda altrettanto. L’uscente ministro Ps, Manuele Bertoli, è da pochi giorni partito in campagna elettorale con lo slogan “un socialista fa differenza”. Che differenza?

Innanzitutto, un ministro Ps ha un margine di manovra molto ampio per quanto riguarda la gestione dei dossier politici nel suo dipartimento. Non tutti i dipartimenti hanno però lo stesso peso e non è certo un segreto che nel 2011, quando Bertoli fu eletto per la prima volta, i socialisti avrebbero preferito mantenere il Dss (sanità e socialità) invece del Decs (educazione, cultura, sport). In secondo luogo, essere dentro la stanza dei bottoni permette un accesso alle informazioni che difficilmente le formazioni non governative possono avere. Infine, un ministro Ps può influire anche sui dossier degli altri dipartimenti, tessendo alleanze e scendendo a compromessi.

Si ha però l’impressione che parte della base del Ps è diventata sempre meno affezionata al proprio consigliere di Stato. Bertoli, ex Psa, gode senz’altro di un maggiore sostegno rispetto alla canevasciniana Patrizia Pesenti, ma l’anno scorso il dibattito sulla riforma “fiscale e sociale” ha mostrato i limiti del suo approccio pragmatico (che fra l’altro potrebbe essere riassunto ripetendo parola per parola quanto Rossi ha scritto su Canevascini). Sia il consigliere di Stato sia la quasi totalità del gruppo parlamentare Ps sono stati sconfessati dalla base di partito e mancò pochissimo affinché anche la maggioranza del popolo sconfessasse l’intero governo su questa riforma. Nella votazione del 29 aprile 2018 i “sì” furono il 50,1% (soli 193 voti di differenza!). Si trattò di un risultato strepitoso per i referendisti, fra cui in prima linea i giovani socialisti. Ma fu un momento anche lacerante per il Ps perché non tutti i suoi rappresentanti hanno rispettato il volere della base: alcuni (anche se non Bertoli) si sono infatti impegnati in prima fila contro il referendum. Di fronte a un risultato così risicato è legittimo supporre che un Ps unito avrebbe vinto.

Questo episodio, solo uno fra tanti, ci fa capire perché il Ps si impegna certo a salvaguardare il seggio in governo. Ma se l’obiettivo fallisse, sono in molti a pensare che bisognerà approfittarne per tornare ad avere un Ps più combattivo, meno incline a compromessi, per poi tornare rinvigorito in Consiglio di Stato nell’aprile del 2023. E a quel punto si festeggerà di sicuro.

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